E’ passato poco più di un mese dal finale di stagione di Game of Throne, eppure siamo tutti ancora qui a parlarne.
La sesta puntata dell’ ottava stagione ha segnato la fine di un era.
La serie tv più seguita di tutti i tempi, ha di fatto, tracciato una spartiacque nel mondo del piccolo schermo facendo registrare numeri mai visti prima da qualsiasi altro prodotto del settore e coinvolgendo una fetta di pubblico senza limiti di età, sesso o nazionalità.
Un cast stellare, effetti speciali straordinari, un’equipe maestosa ed un budget praticamente illimitato ed un hype divenuto sempre più insostenibile durante tutto l’anno.
E’ tutto oro quello che luccica?
Come ci ricorda saggiamente la consigliera della Madre dei Draghi, Missandei, ogni luce genera un’ombra… e nell’ottava stagione di Game of Throne, di ombre ce ne sono state a bizzeffe.

In questo articolo non voglio concentrarmi su tutti i buchi di trama lasciati in sospeso dai due sceneggiatori della serie.
Non voglio nemmeno scendere nei particolari inerenti la sceneggiatura banale e scontata che trasforma i personaggi principali, che tanto abbiamo amato in questi anni, in marionette prive di qualsivoglia spirito di iniziativa ed inventiva che si limitano a recitare svogliatamente un copione noioso arrivando a perdere la maggior parte delle proprie sfaccettature caratteriali .
Ciò che mi preme, in queste poche righe è il cercare una risposta a tutte quelle domande che mi sono sorte spontaneamente durante la visione dell’ ultimo episodio di Game of Throne.
La prima parte di questa puntata, nonostante sia segnata da lentezza e banalità, di fatto non presenta difetti esageratamente gravi e che fanno gridare allo scandalo.
Questo finchè non si arriva alla scena clou, ovvero la morte di Daenerys per mano di Jon (Tu non sai niente) Snow.
Una scena che poteva un’impatto artistico e psicologico notevole, si trasforma in una sequenza scontatissima e quasi “arronzata” sino all’arrivo del maestoso Drogon.
Ecco, qui il tutto prende davvero una brutta piega.
Il drago, in un impeto d’ira e profondo dolore, decide di non abbrustolire l’assassino di Daenerys, ma ha la brillante idea di distruggere il Trono di Spade.
Una scena bellissima per carità, struggente e visivamente emozionante, ma…
Ma, dovete spiegarmi, in che modo un drago, descritto sino a quel momento come una macchina di morte volante, mosso dai suoi istinti più primordiali che per fame ha mangiato donne e bambini innocenti, che non ha avuto scrupoli a bruciare una città intera con un semplice comando, ha improvvisamente ottenuto una consapevolezza fuori dal comune?
Con un solo sguardo, il buon Drogon, comprende che ad uccidere la madre non è stato il suo amato, ma bensì la sua smisurata sete di potere che la ha lentamente condotta alla pazzia, così come ha portato sull’orlo del baratro ogni regnante facendo piombare i sette regni nel caos per millenni.
L’unica soluzione quindi, non è rivolgersi ad un bravo specialista in psichiatria, ma distruggere il simbolo del potere di Westeros.

Ma aspettate, che il bello deve ancora arrivare.
Nel corso di tutta la saga, se c’è qualcosa che l’ universo di Martin ci ha insegnato, è che ogni scelta comporta conseguenze, conflitti, vantaggi e svantaggi, e che ogni minima mossa deve essere ponderata e calibrata alla perfezione, onde evitare conseguenze catastrofiche e intrighi contro i malcapitati protagonisti.
Questo finchè, il nostro buon folletto, una volta astuto, Tyrion, propone di nominare quale regnante assoluto di tutti i sette regni, Bran lo Spezzato.
Ora, partendo dal presupposto che il nostro piccolo Stark ispira meno fiducia e virilità di una squadriglia di Immacolati ad un night-club, possibile che nessuno dei lord si indigna per tale scelta?
Secoli di guerre ed intrighi potevano esser risolti semplicemente con una proposta imbecille?
Mentre il mio unico neurone, ancora si interroga su quanto appena visto, ecco apparire la Lady di Grande Inverno.
Sansa con due battute, riesce ancora di più, a mandare in vacca lo script di questa stagione, riaprendo una sotto-trama mai sviluppata a dovere: l’indipendenza del Nord.
“Gli abitanti di Winterfell e tutti i loro araldi, non si inginocchieranno mai più dinanzi a nessun uomo che non sia il King in the North“.
Grazie alla solita raccomandazione, che pare dilagare non solo nei nostri tempi, ma anche il quel di Westeros, il nostro Bran decide di accontentare la sorellona bisbetica.
Il tutto ovviamente nel silenzio più totale.
Ho soprasseduto su tante cose, mi sono ripetuto innumerevoli volte che, col passare delle stagioni questo prodotto si era allontanato dall’opera a cui si è ispirato, e che le necessità della trasposizione televisiva, unita al pubblico sempre più eterogeneo, costringeva ad una semplificazione di tanti fattori, ma questa volta no.
Questa cosa non posso, anzi, non voglio concepirla.
I Greyjoy sono storicamente una casata avversa a tutte le altre.
Non vivono sul continente ma sono confinati su isolotti lontani, hanno usanze e tradizioni agli antipodi rispetto ai tutti i sette regni, e già in precedenza avevano lottato ottenere l’ indipendenza, prendendo scoppole su scoppole.
Loro, che addirittura, hanno dovuto in segno di resa, consegnare l’unico erede al trono maschio alla casata Stark, restano muti, non hanno nulla da recriminare, va bene così.
La provincia più grande dei Sette regni, con un’estensione pari a tutte le altre 6 messe insieme, esce dal dominio di Kings Landing in 15 secondi netti, senza che nessuno si alzi, nemmeno per accennare una timida protesta.

Dopo questo per me è finita.
Passo sopra su tutto.
Su Arya che diventa un novello Cristoforo Colombo, sugli Immacolati che se ne vanno incuranti e soddisfatti, nonostante avessero ucciso la propria regina ed i Dotrakhi che spariscono dalla scena.
La cosa che più lascia riflettere è che, osservando con attenzione il modo in cui sono state gestite le precedenti cinque puntate, il finale di stagione non poteva terminare in modo tanto migliore.
Certo qualche accortezza in più, ci sarebbe potuta essere, tuttavia il difetto principale, il peccato originale, resta quello di esser riusciti a “sputtanare” la più grande serie tv mai realizzata, trasformandola, in un banalissimo fantasy, con tanto di finto happy-ending finale.
Adesso, se volete scusarmi, vado a vedermi Billions